Il Trackman, il Flightscope, il SamPutt Lab, le nuove tecniche di lettura del green maturate attraverso l’Aim Point, le riprese video ad alta velocità, la metodologia TPI, etc. rappresentano, a mio modo di vedere, un grande, enorme aiuto nell’evoluzione della tecnica del golf in generale. Si tratta di strumenti molto efficaci e precisi, che lasciano poco spazio a interpretazioni erronee e a fantasie legate a principi che poco hanno a che fare con la realtà dei fatti.

Tuttavia è inevitabile il sorgere di una serie di domande legate proprio alla nascita di queste nuove e innovative possibilità.

In primo luogo: a chi serve realmente conoscere – ad esempio – lo spin rate della propria pallina, se essa ruota con 6000 rpm, se il launch angle è di 28 gradi e se lo smash factor rientra nei parametri ottimali? Si tratta di dati che spesso, anche per molti bravi giocatori, sono alquanto incomprensibili, e che tendono a complicare le cose piuttosto che a semplificarle.

In secondo luogo: è più frequente insegnare a giocatori professionisti e a bassi di handicap, oppure alla moltitudine di persone che impugnano il bastone per la prima volta o che, pur giocando da anni, possono riservare al golf solo quegli spazi ritagliatisi nel week-end? Ricordiamoci che secondo i dati riportati dal grande Frank Thomas (esperto di club-fitting e di statistiche legate al golf) il livello medio di handicap nel mondo è piuttosto mediocre.

In questo senso, pur ribadendo la mia totale adesione all’utilizzo e allo sviluppo di tali tecnologie, sento l’esigenza di ribadire l’importanza di un insegnamento commisurato al tipo di giocatore che si ha di fronte, alla semplicità, e al non meno importante rapporto umano.

Il grande maestro David Leadbetter afferma:

“L’arrivo della tecnologia – mi riferisco al Trackman, ai video, ai test biomeccanici, e a mille altre cose – ha modificato l’analisi dello swing. Oggi i coach capiscono meglio cosa accade, ma, se l’insieme di questi strumenti rappresenta un benefit per i grandi giocatori, non sono certo che lo sia anche per il giocatore medio. Ormai per ogni swing disponiamo di infinite informazioni, che a volte sono troppo numerose e creano confusione. Temo perciò che stiamo andando verso un insegnamento troppo complicato; piuttosto, noi coach dobbiamo capire che la gente ha poco tempo per per praticare e che dunque il nostro compito sta nel semplificare le cose. Ovviamente quando dico questo, mi riferisco al 99% dei giocatori, non all’elite dei top players che rappresenta invece solo l’1%. […] La tecnologia è uno strumento in più, non l’unica cosa. Ci sono in giro molti giovani insegnanti che si basano solo sui dati del Trackman, che non utilizzano neppure i video. Per quanto mi riguarda, invece, tutti questi numeri arrivano da un essere umano.”

A ciascuno il suo recita un titolo di sciasciana memoria. È dunque questo il futuro da augurarsi: che la metodologia di insegnamento sia sempre relazionata alla tipologia e alle esigenze del giocatore che si ha di fronte, nella consapevolezza che i dati di monitor e computer non possano sostituirsi – ma al massimo aggiungersi – alla semplicità, all’incoraggiamento e al divertimento puro e semplice di chi si cimenta sui campi da golf.