Sempre più giovani si avvicinano allo straordinario mondo del golf. Se sino a qualche anno fa era suggerimento federale quello di far iniziare i propri piccoli non prima degli otto anni (a causa della non perfetta bilateralità del movimento) oggi, coltivando parallelamente altri sport o utilizzando bastoni leggeri e maggiormente appropriati, l’età del primo approccio al golf si è notevolmente abbassata.

Così come per il grande Tiger Woods, o come per il nostro italianissimo Matteo Manassero, il primo incontro col golf avviene talvolta anche prima dei tre anni, e ciò è certamente un bene in quanto esso – forse un po’ come tutti gli sport ma oserei dire anche di più – educa felicemente alla vita. È uno scenario dove si manifestano in piccolo la gioia alternata alla frustrazione, la padronanza delle situazioni inficiata da risultati sui quali è impossibile esercitare il totale controllo. È uno sport che insegna (o almeno dovrebbe) il fair-play, il rispetto per il campo e per gli altri giocatori. È uno sport che insegna metodo e pratica disciplinata, che abitua, come detto, al pianto della tragedia ed al riso della commedia.

Da parte dei maestri diviene dunque indispensabile saper trovare il giusto equilibrio tra la speranza di generare dei campioni ed il contatto con l’antico “principio di realtà” di freudiana memoria. A nessuno serve il cinismo, ma allo stesso tempo è inevitabile fare i conti con una realtà professionistica molto dura, dove il detto “uno su mille” diviene addirittura un eufemismo.
È necessario dunque far sperare i più giovani, rendendoli nel contempo consapevoli della quantità di sacrificio necessario.
Allo stesso tempo gli educatori più importanti in assoluto, ovvero i genitori, dovrebbero non perdere mai di vista il carattere “giocoso” di questo sport, evitando eccessive forzature nonché di proiettare sui propri figli i desideri e gli obiettivi non raggiunti nella loro stessa infanzia.

Il grande maestro Michael Hebron suggerisce a tal proposito – sulla base di uno studio psicologico teso a comprendere quale sia il miglior modo di far rendere i propri figli senza per questo “stressarli” riguardo al gioco – di relazionarsi verso di essi con questo genere di affermazioni e domande:

PRIMA DI UNA GARA:
“Divertiti!”
• “Impegnati!”
• “Ti voglio bene!”

DOPO UNA GARA:
“Ti sei divertito?”
• “Sono fiero di te!”
• “Ti voglio bene!”

Mai interrogare il bambino sulla qualità media dei suoi colpi, ma piuttosto chiedergli: “Oggi hai fatto dei colpi che ti hanno esaltato?

Per i più giovani lo straordinario mondo del golf deve essere approcciato esclusivamente dopo una libera scelta personale, al massimo nata dopo qualche tiepido suggerimento da parte dei genitori, ma mai nata da una ferrea imposizione. Qualunque cella infatti, anche se dorata, rimane pur sempre una prigione.