a cura del Dr. Matteo Niglio
Il genoma umano è stato mappato. Il mio cervello ha impiegato qualche secondo per elaborare la frase e, dopo, si è perso per giorni ad immaginare le possibili ripercussioni di una tale conquista. Con il passare degli anni si è andati oltre ogni mia più fantascientifica aspettativa. Vi faccio un esempio su tutti. È ora possibile sapere quali sono le malattie, che abbiamo più probabilità di contrarre durante la vita, ed intervenire preventivamente. Comodo no?
Venendo ad argomenti meno importanti, negli ultimi 20 anni le ‘cose’ nel golf sono cambiate parecchio. Esattamente dal 1997, anno in cui faceva la sua comparsa un ragazzetto di colore che avrebbe rivoluzionato lo sport moderno, iniziavano le prime ricerche per comprendere a fondo le relazioni tra corpo e swing. Se passeggiate sui fairway da almeno tanto tempo quanto me (1988), vi sarà capitato di ricevere istruzioni da un maestro e, nonostante sforzi ed impegno, non riuscire proprio a cambiare. Quel maledetto dettaglio dello swing non ne vuole sapere di andare al posto giusto. Perchè? Perchè?!? [Stiamo calmi. Lo so che fa rabbia, ma ho delle buone notizie se avrete la pazienza di leggermi fino alla fine.]
Fu nei primi anni 2000 che Greg Rose and Dave Philips fondarono il Titleist Performance Institute (TPI): un centro di ricerche sponsorizzato dalla nota marca di bastoni, per fare analisi e capire qualche aspetto in più della ’magia’ che c’è dietro una palla scagliata a centinaia di metri di distanza. Di acqua sotto i ponti, come si dice, ne è passata tanta da allora e ormai sappiamo praticamente tutto sulle interazioni tra il fisico del giocatore e il modo di muovere il bastone. Sappiamo che le articolazioni, partendo dalla caviglia e risalendo, si alternano nel ruolo di punti mobili e stabili.
Sappiamo che limitazioni funzionali, in uno o più di questi distretti, hanno influenza diretta sullo swing e sul modo di colpire la palla. Abbiamo catalogato gli errori principali.
Abbiamo creato dei test di screening per individuare cause ed effetti. Sono stati strutturati dei protocolli tecnici e di fitness per rendere il percorso di apprendimento, non solo più facile, ma soprattutto possibile. Quando ero piccolo, una gara giovanile su due giorni veniva vinta con un punteggio intorno al par del campo. Se arrivavi in club house con un simile score, potevi andare a rilassarti al bar, tranquillo che la coppa col n°1 sarebbe stata tua. Oggi, sicuramente anche grazie a materiali più performanti, mi capita di leggere che un ragazzo abbia girato 5-6 colpi sotto, qualche volta anche di più. Sul tour, ma già nelle competizioni dilettantistiche di alto livello, si vedono (e si sentono soprattutto!) palle schizzare via dalla faccia dei driver come dragster [macchinoni americani con migliaia di cavalli per gare di accelerazione ndr] impazziti. Oggi ogni golfista, con una buona dose di sana determinazione e dedizione, può veramente aspirare a dare il massimo, se indirizzato da persona esperta e competente. Guadagnare 10-15 miglia/orarie di velocità della testa del bastone non è più solo il messaggio ammiccante di pubblicità ingannevoli, ma una concreta realtà, per chi avrà la voglia di approcciarsi olisticamente a questo sport.
Una volta, in un corso di aggiornamento che ho seguito, mi è capitato di sentire una frase che mi ha colpito. Devo averla scritta su una pagina da qualche parte tra i tanti appunti presi in giro per seminari. Fortunatamente non ho bisogno di rileggerla per ricordarla, tanto mi è rimasta impressa a fuoco nella mente: se non puoi misurarlo, stai solo tirando ad indovinare. Beh, adesso possiamo calcolare quasi tutte le variabili. I mezzi e le conoscenze ci sono, proprio come per il genoma.