a cura di Stefano Ricchiuti
L’etimologia della parola abracadabra – formula magica conosciuta anche dai bambini – trova una sua possibile origine nell’antico aramaico, e significa letteralmente: “Io creerò come parlo”.
Psicologia e neuroscienze hanno da tempo confermato l’influenza del nostro modo di parlare sulla nostra emotività e sul nostro comportamento. In psicologia dello sport (e non solo) si parla dell’importanza del self-talk, del dialogo interno, a testimonianza di quanto ciò che può apparire aria fritta tenda invece ad incidere sulla nostra vita e sui nostri risultati.
Spostandoci dalla filosofia al campo da golf, ed immaginando di trovarci sul green della buca 18 di un ipotetico campo – a circa un metro e mezzo dalla buca e con un importante putt per vincere – il tipo di atteggiamento che un giocatore può possedere nei confronti di questa situazione può essere molteplice, così come il suo più intimo dialogo interno. Eccone alcuni esempi:
• “Devo assolutamente imbucare!”
• “Ci provo.”
• “Speriamo che questa entri.”
• “Dai! Mettiamola in buca!”
Prestando attenzione ad ogni singola formula è facile notare come ognuna di esse esprima un’attitudine ed un’emozione diversa nei confronti del compito che ci si accinge ad eseguire. La prima tende a generare tensione, ansia, costrizione: una sorta di aderenza alla norma. Nel secondo caso si abbassa invece il livello di tensione, diminuendo però proporzionalmente anche quello della concentrazione ed introducendo una sorta di indifferenza e di permissività nei confronti del risultato. Nel terzo caso si respira nuovamente una certa ansia, insieme ad una deresponsabilizzazione circa l’esito finale. L’ultima formula pare invece essere quella maggiormente convincente: un auto incitamento che comunica positività e grinta senza una proiezione verso un possibile fallimento futuro.
Ciò stabilito va inoltre sottolineato come aldilà di ciò che ci si dice conti anche il come ce lo si dice, aspetto che la carta stampata o il monitor del computer non possono, per ovvi motivi, rendere appieno.
Va da sé comunque che, qualunque atteggiamento mentale un giocatore utilizzi, il putt di cui sopra potrà essere o meno imbucato (dove andrebbero a finire senó la tecnica, la fortuna, il corretto calcolo della pendenza, etc.) tuttavia, su un campione statistico, chi meglio si predispone all’esecuzione del colpo che lo attende sarà colui che avrà maggior possibilità di riuscita.
Immaginiamo ora un’ulteriore situazione, ovvero di trovarci a dover eseguire un approccio al green con un ostacolo d’acqua posto tra la palla e la bandiera. Tra le varie soluzioni possibili, quale pensiero, tra i seguenti, sarà certamente quello più produttivo?:
• “Qualunque cosa, ma non in acqua!”
• “Voglio che la palla atterri ad inizio green e poi rotoli verso la buca.”
L’utilizzo di un cosiddetto “operatore modale” (“voglio”), ed il focus mentale rivolto a ciò che si vuole ottenere (e a non a ciò che si teme possa avvenire) fanno della seconda formula un qualcosa di molto più utile e performante.
Allo stesso modo immaginate un maestro che utilizzi esclusivamente la parola “colpire” e mai, ad esempio, il verbo “attraversare”. Il primo termine comunica un movimento molto energico che ha inoltre il limite di rendere la palla come il punto di stop del movimento, mentre – come tutti i grandi maestri sanno – la palla stessa altro non é che un punto tra i tanti dove il bastone deve passare alla massima velocità, in sinergia con uno swing che prosegue libero ed ininterrotto sino alla posizione di finish.
Per concludere è importante ricordare un assunto fondamentale della linguistica, ovvero: non si può non comunicare. Anche il silenzio, d’altronde, comunica il desiderio di non relazionarsi agli altri o di possedere una qualche difficoltà.
Ecco perché il saper comunicare efficacemente, con gli altri ma soprattutto con se stessi – nella vita come nello sport – è un’abilità che dev’essere al più presto imparata e fatta propria.